INTERVISTA A MARTINA RINI CAVALLI
di GianDomenico Savio – Vicenza più – 11 agosto 2011

8830_200Martina Rini, vicentina che da poco ha superato i suoi ‘primi quarant’anni’, è Responsabile Area Comunicazioni per Cultura d’Impresa e ambasciatrice di Italian Women in the World, il primo network di professioniste italiane nel mondo fondato da Patrizia Angelini, giornalista televisiva Rai. Dal 2001 al 2007 è editrice di View Magazine pubblicato da Dolp dove osano le parole e autrice di alcune monografie quali «Trent’anni sotto braccio delle donne» e «Quello che le borse raccontano», edito dalla stessa casa editrice. Dal 2000 è anche Responsabile di una decina di ricerche storiche intitolate la «Scena Urbana» (edizioni Athesis), uscite in allegato al Giornale di Vicenza. Architetto solo sulla carta, la sua carriera ha subito una strana evoluzione.

-Dall’architettura al Project Editor per Cultura d’Impresa, qual è stato il motivo che l’ha spinta verso questa direzione?
In realtà ho esercitato la professione di architetto per circa una decina d’anni. Ad un certo punto, però, ho iniziato a sentirmi come imbrigliata in una posizione lavorativa che di creativo, oramai, ha ben poco.

-Quando ha iniziato a sentire la necessità di un cambiamento nella sua vita?
Ero incinta del mio primo figlio, e a volte nella vita, succede che per cause superiori a noi si sia costretti ad una lunga degenza. Durante quelle interminabili giornate, iniziai a raccogliere materiale su Vicenza. Mi interessai di fiumi, parchi e ponti del centro storico. Qui scoprii che molto spesso gli abitanti di una zona vivono in quel territorio senza conoscere assolutamente nulla di esso.

-Uno strano passatempo?
Si, avevo molto tempo a disposizione e lo impiegai interessandomi della mia città. Non so se lo avrebbero fatto in molti, ma io decisi in questa direzione. Durante la gravidanza avevo raccolto talmente tanto materiale da poter scrivere un libro di molte pagine. Iniziai a cercare qualcuno che me lo pubblicasse, ma come spesso accade, gli scrittori sono molti e le persone accontentate molte meno.

-Da qui allora Dolp?
Si Dolp è un’idea diventata casa editrice dall’impegno e dalla totale incoscienza mia e di mio marito, Massimo Cavalli.

-Una vita assieme e anche nel lavoro con l’Architetto Cavalli?
Si ma solo dalla nascita di Dolp in poi, dal 2000 quindi. Ci siamo accorti che sarebbe stato molto interessante raccontare le bellezze della propria città non più con un linguaggio tecnico ma da semplici curiosi. Da questa idea, grazie anche al Giornale di Vicenza che si è occupato della distribuzione, è nata «Scena Urbana» nella misura di dieci fascicoli allegati al quotidiano.

– Com’è stato il passaggio da «Scena Urbana» a View, magazine di Dolp?
Proprio come raccontavo poco fa. A conclusione del primo progetto avevo a mia disposizione ancora molto materiale interessante sulla città. Avevamo studiato fiumi, ponti, piscine fluviali, il sistema fognario della città, antichi palazzi palladiani.

-Da qui l’idea di autopubblicarsi?
Si certo e devo dire che il nostro progetto ha avuto molta fortuna. Siamo usciti in edicola con View Magazine in ben 18 numeri dal 2001 al 2007. Risultato sensazionale per una rivista totalmente indipendente.

-Quale era la ricetta del vostro successo?
Ci siamo messi alla ricerca di persone che non avessero mai pubblicato o che avessero pubblicato poco. Parte del merito va anche alla professionalità della direttrice Alessandra Ortolan, giornalista del Corriere del Veneto. Il nostro punto di forza è che parlavamo di Vicenza da cittadini curiosi di scoprire cosa circondava le nostre vite.

-Per rimanere indipendenti, c’è bisogno di alcune scelte però…
Si, ed ecco come si spiega la nascita di Cultura d’Impresa. Per riuscire a finanziarci eravamo costretti a rivolgerci agli esercizi commerciali. Dal piccolo negoziante al grande costruttore, dal falegname allo studio di design, dalla sarta alla fabbrica di tessuti. Ognuno dei titolari interpellati aveva da raccontare la propria storia. Iniziai a raccogliere un’infinità di storie meravigliose. E’ proprio questo il germe di Cultura d’Impresa.

-Che genere di servizio offrite ai vostri clienti?
In realtà non si tratta di nessun servizio. Un’azienda dispone già di una propria cultura. Il vero produttore è colui che possiede la propria Cultura d’Impresa. L’importanza del prodotto non risiede più nella sua presentabilità ma in ciò che risiede dietro al prodotto stesso. Oramai di originale c’è gran poco e l’importante è fare intendere all’utenza finale nel miglior modo possibile le fasi storiche che hanno creato il prodotto stesso. Dalla concezione dello stesso, alla materiale creazione, trasformazione e messa in vendita. C’è bisogno di una certa sensibilità culturale per comprendere la Cultura d’Impresa.

-Questa però potrebbe essere la via d’uscita dalla crisi?
Se in precedenza, fino agli anni 2000, non avevano molta importanza il prezzo e l’origine del prodotto, ora sono essenziali. Abbiamo cambiato i nostri parametri ed abitudini, e con loro il nostro modo di spendere i soldi. Per riuscire ad accontentare le nuove richieste provenienti dalla clientela, le aziende hanno bisogno di differenziarsi l’una dall’altra, altrimenti il conformismo economico le porterà alla deriva come è accaduto alla distribuzione al dettaglio dopo l’avvento della GDO (grande distribuzione, ndr).

-Cultura d’Impresa a salvataggio delle aziende in crisi?
Molte realtà industriali si accorgono prima di altre del cambiamento generazionale dei propri clienti, certe addirittura non se ne accorgono minimamente. Queste ultime sono quelle destinate ad esaurire le proprie risorse.

-Scusi, ma le aziende, e in questo caso mi riferisco a quelle vicentine, hanno una storia abbastanza simile?
Si, è vero. E’ ancora lontano il modello americano dove le aziende nascono e muoiono nel giro di un decennio e dove non sono implicate finanze di famigliari e parenti. Molte imprese condividono la stessa storia in origine, ma poi, con la loro evoluzione, le storie sono andate via via differenziandosi. Delle aziende nate dal dopoguerra, nel vicentino del resto c’è chi è rimasto un terzista, mentre invece c’è chi ha dato ampio sviluppo alla propria professionalità con un lauto ritorno d’immagine e di marchio.

-Qual è la soluzione di Cultura d’Impresa?
Chi vende capisce, e ti fa percepire, che le cose stanno cambiando. Inevitabilmente anche il produttore si comporta di conseguenza. Per fare in modo che il sistema sia, per così dire «sempre aggiornato», è necessario un certo adattamento. Solo le aziende sane e con una propria storia alle spalle posseggono una radicata cultura che le porterà lontane e a superare ancora una volta le difficoltà finanziarie che la crisi sottopone ogni giorno. Questa cultura, non è altro che la Cultura d’Impresa. Se un tempo le aziende non necessitavano di dover mettere in mostra le proprie eccellenze, ora invece è giunta l’ora del cambiamento.

-Benedetta crisi dell’economia allora?
Benedetta crisi, almeno per una volta.